Primi spunti giurisprudenziali sulla “legge Gelli”: la colpa medica tra processo penale, responsabilità civile e giudizio contabile

Primi spunti giurisprudenziali sulla “legge Gelli”: la colpa medica tra processo penale, responsabilità civile e giudizio contabile
04 Luglio 2017: Primi spunti giurisprudenziali sulla “legge Gelli”: la colpa medica tra processo penale, responsabilità civile e giudizio contabile 04 Luglio 2017

Fra le prime decisioni in tema di responsabilità medica successive all’entrata in vigore della “legge Gelli” (legge 8 marzo 2017, n. 24) la recente sentenza n. 100/2017 della Sezione giurisdizionale per l’Emilia Romagna della Corte dei Conti si segnala per aver affrontato alcune delle non poche problematiche sollevate dall’intreccio fra processo penale, responsabilità civile delle strutture sanitarie pubbliche e responsabilità amministrativa del medico soggetto all’azione di rivalsa avanti al Giudice contabile.

La pronuncia ha anzitutto ribadito quale sia il presupposto dell’azione di rivalsa, ma ha soprattutto affermato l’autonomia e la peculiarità del giudizio contabile rispetto al processo penale ed ai giudizi civili originati dalla condotta del medico.

Quanto al primo aspetto, si è riaffermato che il danno erariale cui consegue la responsabilità del medico operante nelle strutture sanitarie pubbliche è rappresentato dall’”effettiva diminuzione patrimoniale” subito dall’ente, e cioè dall’esborso sostenuto per risarcire il danno del terzo.

Per questa ragione il termine (quinquennale) di prescrizione del diritto di rivalsa decorre dalla data “in cui è avvenuto l’esborso concreto”.

Relativamente al secondo, la sentenza sottolinea anzitutto l’autonomia del giudizio contabile rispetto al processo penale sotto diversi profili.

Ricordato che “nel caso della responsabilità amministrativa per danno sanitario va dimostrata la colpa grave del convenuto”, essa sottolinea la diversità del concetto di colpa grave nell’”ambito giuscontabile” (ravvisabile “anche per errori non scusabili per la loro grossolanità o l’assenza delle cognizioni fondamentali attinenti alla professione o il difetto di un minimo di perizia tecnica e ogni altra imprudenza che dimostri superficialità” e perciò tale da ricomprendere tutti i profili propri della colpa, nella loro pienezza) e quello proprio dell’”ambito penalistico” (nel quale invece il profilo dell’imperizia era limitato dall’”esimente di cui all’art. 3, primo comma, legge 189/2012”, oggi sostituito dall’art. 590 sexies, secondo comma c.p. introdotto dalla “legge Gelli”).

Questa diversità risulta oltremodo rilevante con riguardo alle “linee guida” ovvero alle “buone pratiche clinico-assistenziali”, cui fa riferimento l’art. 590 sexies c.p.c.

Infatti, la mera difformità della condotta del medico rispetto a quella indicata dalle linee-guida o dalle buone pratiche, in termini di imperizia, non “è di per sé sufficiente a dimostrare che la condotta del sanitario sia sicuramente connotata da colpa grave”.

Infatti, la norma in questione opera “solamente sul piano della responsabilità penale” e per di più, in quella sede, “può essere fatta valere solamente dal medico a proprio vantaggio per contrastare la pretesa punitiva in ipotesi accusatoria di un reato colposo… e non certo a discapito dello stesso, sul piano della responsabilità civile o amministrativa”.

Pertanto, ai fini contabili, “non è sufficiente contestare una condotta difforme dalle linee guida” per provare la colpa grave del medico, spettando invece “al Pubblico Ministero la dimostrazione positiva che le scelte diagnostiche chirurgiche operate nel caso concreto si sono poste quale causa efficiente diretta del disagio arrecato al paziente, che ha portato alla richiesta di risarcimento del danno liquidato dalla struttura aziendale pubblica”.

L’anzidetta difformità può dunque rappresentare solo “un indice rivelatore” della colpa grave, che va però necessariamente “corroborato con altre risultanze di fatto”.

Insufficiente a questo scopo deve però ritenersi un’eventuale sentenza penale ex art. 444 c.p.p..

Infatti, il patteggiamento “non può costituire prova di ammissione di responsabilità”, potendo essere dettato da molte ragioni, non ultimo l’interesse del medico alla “mancata applicazione delle pene accessorie, in particolare l’interdizione dalla professione che, nel caso di un medico ospedaliero, costituisce un rischio grave per la continuazione del proprio rapporto di lavoro con la struttura pubblica”.

Ed ancora, non può assumere valore di prova nel giudizio contabile la “consulenza di parte del Pubblico ministero penale”, in quanto “atto di parte… elaborato in assenza di qualsivoglia contraddittorio”, affermazione questa che peraltro rimanda alla previsione dell’art. 9, settimo comma della legge n. 24/2017.

In merito al rapporto tra aspetti civilistici ed accertamento della responsabilità amministrativa del medico, la Corte dei conti emiliana ha poi precisato che nel giudizio contabile “non trovano ingresso rapporti strettamente civilistici tra il presunto responsabile e la compagnia di assicurazione, la quale non potrebbe esser chiamata in causa a garanzia dell’assicurato”, restando a quest’ultimo la sola possibilità di convenirla “avanti al Giudice ordinario civile successivamente all’eventuale condanna inferta dalla Corte dei conti per colpa grave”.

Ciò anche in considerazione del fatto che “le ricadute civilistiche nel rapporto trilaterale azienda sanitaria/assicurazione/medico vanno sottoposte alla giurisdizione ordinaria del Giudice civile”.

Quanto al caso concreto sottoposto al suo giudizio, che riguardava l’operato di un medico di un Pronto soccorso, la sentenza anzidetta ha concluso che, tenuto conto di molteplici circostanze concrete, la mera difformità della condotta dell’incolpato rispetto alle linee-guida non era sufficiente a provare la gravità della colpa attribuitagli e dunque la sussistenza della sua responsabilità amministrativa, rigettando così la domanda del Pubblico ministero.

 

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